IN GIRO PER IL MONDO
12 aprile 2018
Maschere di Venezia, non solo Carnevale
La curiosità di studiare le vere origini di ciò che c’è dietro al carnevale di Venezia, mi è nata circa un paio di mesi fa; mia figlia da anni mi chiedeva di portarla a Venezia durante il carnevale, quest’anno … presa dalla disperazione per la sua irrefrenabile insistenza, ho deciso di accontentarla, anche se molto preoccupata all’idea di dovere affrontare una caotica e stancante giornata.
In realtà è stata una esperienza meravigliosa, una città splendida che in occasione del Carnevale, si copre di colore e anonimato.
Le maschere, che si incontrano passeggiando, sono di una bellezza incredibile e ti conquistano lasciandoti a bocca aperta, come una bambina davanti a una vetrina di dolci, poi la mia incontenibile curiosità ha dato il via ad una ricerca approfondita di quello, che meravigliosamente ha portato a creare queste vere opere d’arte.
Non ci sono libri che raccontano veramente il passato e la storia, ma solo qualche piccolo cenno, a volte confuso di ciò che veramente è stato.
L’archivio storico di Venezia mantiene in forma decisamente riservata informazioni di quel periodo, l’accesso è alquanto difficile, quindi ci accontentiamo delle informazioni che vengono tramandate dai dipinti dell’epoca e dai maschereri (gli artigiani di maschere) i pochi che ad oggi, continuano ad alimentare questa tradizione.
E’ stato proprio andando in giro personalmente in questi laboratori di artigiani, a dir poco affascinanti, che ho avuto l’occasione di poter conversare direttamente con alcuni maschereri ancora operativi e posso assicurare che la loro è una vera passione, tramandata da generazioni o anche nata dal desiderio di mantenere ancora oggi viva questa forma di arte.
Laboratori affascinanti e negozi ricchi di tradizione come il kartaruga, in Calle de la Bissa, vicino al ponte di Rialto, oppure la bottega dei Mascareri in S.Polo o ancora la Bauta, in Campo San Tomà ed è proprio in quest’ultimo negozio, dove ho avuto il piacere di parlare con il proprietario il sig.Armando, che con estrema dedizione mi ha raccontato la sua passione, nata quando era ancora studente.
La sua condizione economica, essendo allora studente, lo costringeva a realizzare le prime maschere con cartapesta fatta da fogli di giornale reperibili gratuitamente, anche se molto difficili da lavorare, ma la sua dedizione è stata più forte e ad oggi vanta insieme alla moglie, una carriera ventennale con più negozi e laboratori.
La sua passione si coglie subito, e la possibilità, che in passato ha avuto, di poter accedere agli archivi storici, lo rende decisamente qualificato nelle conoscenze della storia delle maschere di Venezia e con qualche dettaglio storico e qualche pettegolezzo di contrada non smetteresti mai di ascoltarlo.
Ovviamente non mancano i laboratori dove turisti e/o appassionati possono partecipare; un’esperienza da non perdere se si va a Venezia.
Quindi non dimenticate di fare un salto all’Atelier “La Bauta”.
Non a caso ogni anno Venezia è sede di uno dei primi 10 carnevali del mondo. I canali, le ville, le strade della Serenissima vengono invase da persone, che vogliono vivere la magia di una delle città più belle al mondo, tra elaborati costumi e sfarzosi balli in maschera.
Ma che origini ha tutto questo?
Pochi sanno da dove nasce la tradizione della maschera Veneziana.
La prima “vera” maschera di Venezia compare già nel 1268.
I fabbricanti erano chiamati (come già ho accennato) maschereri e creavano le maschere con materiali come: argilla, cartapesta, gesso e garza e poi colorate e decorate con perline, piumaggi, ricami e quant’altro da veri e propri artigiani, tutto questo per rappresentare e dissacrare i vizi della società e permettere a uomini e donne, dalla notte dei tempi, di mettere da parte la propria identità e sperimentare ruoli alternativi nel più completo anonimato.
Nella tradizione veneziana con la parola “maschera” si voleva indicare il “mettersi barba e baffi finti”, ma ben presto, divenne simbolo della indipendenza e della disubbidienza a tutte le norme sociali dettate dalla Repubblica Serenissima.
In passato la maschera non era usata solo per il periodo di Carnevale ma anche in molte altre occasioni e durante tutto l’anno.
Le principali maschere in uso nella Serenissima Repubblica erano la Baùta e la Moretta.

La Baùta è il travestimento veneziano per eccellenza, più che una vera maschera era considerato un abito portato indistintamente da uomini e donne di qualsiasi ceto sociale.
Generalmente composta dal Tabarro un lungo mantello nero e un mantelletto sempre nero che poteva essere di seta di velluto o merletto, la Larva una maschera bianca senza naso e bocca, di seta, velluto o cartone, dipinta di bianco o nero e il copricapo tricorno, a due o tre punte.
Un travestimento completo, per diventare qualcun altro, mischiarsi con gli aristocratici e dare libero sfogo alla propria sete di libertà.

La Moretta, la maschera della seduzione, riservata esclusivamente alle donne, dalla forma piccola, ovale, di velluto scuro, si porta con un cappellino nero e indumenti raffinati. A differenza delle altre maschere, la Moretta è “muta”, ovvero si reggeva sul viso tenendo in bocca un bottone interno, accentuando così il fascino femminile, perché la donna non poteva parlare.
Celando il viso con la Moretta e rimanendo al contempo in silenzio, le intenzioni delle dame mascherate erano totalmente indecifrabili.
Era la dama stessa a decidere se e fino a quando rimanere anonima e in silenzio.

Dottore della Peste diversa dalle due maschere precedenti è quella del Dottor Peste. Il travestimento comprende una maschera bianca con un becco ricurvo che copre tutto il viso e un mantello nero di lino lungo fino ai piedi. La testa è coperta da un cappello mentre le mani sono protette da guanti. Com’è intuibile dal nome, il costume serviva per proteggersi dalla peste: i medici, infatti, utilizzavano questo abbigliamento per non essere contagiati, mentre il becco non era altro che un contenitore di erbe balsamiche che servivano a purificare l’aria che sapeva di morte. Per questo, è la maschera che ha la più marcata funzione sociale.
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